Fisica di base

La Risonanza Magnetica (RM) per immagini è una tecnica diagnostica largamente utilizzata in diversi campi della medicina (neurologico, cardiovascolare, ortopedico,…). Essa sfrutta l’interazione tra il corpo umano ed intensi campi magnetici statici, campi magnetici lentamente variabili nello spazio e nel tempo (campi di gradiente) e campi elettromagnetici a radiofrequenza (RF).

Non utilizzando radiazioni ionizzanti, la RM è ritenuta intrinsecamente più sicura rispetto alle tecniche di radio-diagnostica (es. tomografia a raggi X) o di medicina nucleare (es. PET).

D’altra parte, il personale sanitario che lavora in ambienti di RM è esposto, durante il tempo di permanenza nella sala magnete, al campo magnetico statico che è costantemente presente. L’esposizione ai campi di gradiente ed alla RF, che sono presenti solo durante l’esecuzione dell’esame diagnostico, avviene solo in particolari situazioni che richiedono la presenza dell’operatore in sala durante l’esame (es. procedure interventistiche, pazienti che richiedono particolare assistenza…). Inoltre, il campo magnetico statico è caratterizzato da un forte gradiente spaziale, con valori che decrescono proporzionalmente con la distanza dal magnete. Il movimento di un operatore all’interno di tale gradiente spaziale determina l’esposizione ad un campo magnetico variabile lentamente nel tempo che induce correnti elettriche nel corpo.

PRINCIPI FISICI: come funziona una RM per immagini

Il termine “risonanza” si riferisce allo scambio di energia tra due sistemi fisici: questo scambio è maggiore quando i due sistemi hanno le stesse caratteristiche intrinsiche, ad esempio la stessa frequenza di oscillazione.

Per capire meglio il concetto, possiamo pensare alle corde di una chitarra: se ne pizzichiamo una facendola quindi vibrare ad una certa frequenza, quella vicina risentirà delle onde emesse dalla prima e si metterà anch’essa a vibrare; questo fenomeno può essere impercettibile ma se le due corde sono tese in modo da emettere la stessa nota (sono cioè accordate tra di loro) il fenomeno risulta ben visibile e le due corde vibrano in modo da emettere, appunto, onde alla stessa frequenza. Nel caso della chitarra le onde emesse sono di natura meccanica, mentre nel caso delle RM si ha a che fare con onde elettromagnetiche.

In particolare, nella RM il sistema che eroga energia è rappresentato dalle onde elettromagnetiche a RF, che disturbano l’equilibrio dei nuclei di idrogeno (H), presenti in abbondanza nei tessuti del corpo umano e che sono ordinati lungo una stessa direzione per effetto del campo magnetico esterno. Gli atomi di H rappresentano quindi il sistema accettore: lo scambio di energia avviene però solo se la frequenza delle onde RF è uguale alla frequenza caratteristica dei nuclei di H. Quando lo stimolo fornito dalle onde a RF cessa, i nuclei cedono l’energia acquisita sottoforma di onde a radiofrequenza, secondo diverse modalità che dipendono dalle caratteristiche del sistema chimico-biologico che essi costituiscono.

I nuclei di idrogeno hanno numero quantico di spin diverso da 0 e quindi possiedono un momento angolare, cioè un movimento di rotazione: all’interno dei tessuti biologici essi sono orientati casualmente ma se vengono immersi in un campo magnetico essi si orientano lungo la sua direzione (in verso concorde o discorde); inoltre acquistano una ulteriore rotazione. Il movimento che ne risulta è detto di “precessione” e può essere paragonato a quello di una trottola che venga toccata mentre ruota attorno al proprio asse. Affinchè si verifichi il fenomeno della Risonanza Magnetica, e quindi lo scambio di energia di cui parlavamo precedentemente, è indispensabile che le onde RF di eccitazione abbiano frequenza uguale a quella di precessione dei protoni di H, che è data dalla seguente formula:

f0=γ*B0/2π                                                                                                                                   (1)

che è detta frequenza di Larmor.

Nell’equazione precedente, γ è nota come rapporto giromagnetico (per l’idrogeno vale 42.6 MHz/T) e B0 è l’intensità del campo magnetico statico (unità di misura Tesla (T) o Gauss (G), dove 1T = 10.000 Gauss) nel quale sono immersi gli atomi di H.

Se, ad esempio, il campo magnetico  B0 vale 1.5 T (valore molto comune per i tomografi impiegati nella clinica) la frequenza di Larmor è pari a 63.85MHz.

L’insieme dei nuclei allineati lungo la direzione del campo magnetico statico  può essere considerato come un unico vettore avente direzione e verso pari a quelli di B0, detto “magnetizzazione macroscopica” M. Maggiore è il valore di B0, maggiore sarà la magnetizzazione M e maggiore sarà il segnale RM.

Quando i nuclei acquistano energia da un’onda di eccitazione RF perdono la loro condizione di equilibrio: a seconda della durata dell’impulso, un certo numero di protoni allineati al campo con verso concorde (livello energetico più basso) si porteranno ad un livello energetico più alto, quindi a disporsi in verso discorde a  B0 fino al bilanciamento numerico delle due popolazioni e al raggiungimento di una sincronizzazione di fase. L’impulso RF responsabile di questo fenomeno è detto “impulso RF a 90°” e fa si che la magnetizzazione M compia un moto a spirale fino a porsi sul piano trasversale alla direzione di B0 (se la direzione di B0 è Z, il piano trasversale è ovviamente il piano XY). Quindi la magnetizzazione M che prima era costituita dalla sola componente longitudinale lungo Z (Magnetizzazione Longitudinale, ML), alla fine dell’impulso a 90° risulta costituita dalla sola componente trasversale (Magnetizzazione Trasversale, MT).

Un impulso RF a 180° causa invece l’inversione del vettore ML che continua il suo movimento a spirale fino a disporsi nuovamente sull’asse Z ma con verso contrario a quello iniziale. Alla fine dell’impulso RF di eccitazione, il sistema di protoni ritorna alla situazione energetica di partenza (rilassamento protonico) cedendo energia all’ambiente ed emettendo quindi un segnale chiamato FID (Free Induction Decay) che costituisce appunto il segnale RM.

L’intensità di questo segnale è direttamente proporzionale alla densità protonica, cioè alla quantità di protoni di H per unità di volume (voxel) e quindi alle caratteristiche del tessuto in esame.

La durata del segnale è invece legata ai tempi di rilassamento T1 e T2; vediamo brevemente come essi sono definiti:

tempo di rilassamento T1 o longitudinale o spin-reticolo: è legato al ritorno alla situazione di partenza della magnetizzazione longitudinale ed è correlabile agli scambi termodinamici che avvengono nel tessuto in esame;

tempo di rilassamento T2 o trasversale o spin-spin: regola l’annullarsi della magnetizzazione trasversale creata dall’impulso RF ed è espressione dei continui scambi energetici tra protoni.

I valori dei tempi di rilassamento dipendono dalla struttura molecolare del tessuto in esame.

Riassumendo, il segnale FID possiede un’ampiezza legata alla densità protonica del tessuto in esame e una durata regolata da T1 e T2: ogni tessuto biologico, normale o patologico, emette un segnale diverso che è legato da un’equazione matematica alla densità protonica, a T1 e T2 e ai tempi di ripetizione TR ed eco TE, parametri tecnici delle sequenze di impulsi RF di eccitazione.

Un altro parametro importante è il tempo di rilassamento T2* (T2 star): esso è legato alla perdita di coerenza di fase della MT determinata sia da scambi energetici tra spin e spin che dalle disomogeneità del campo magnetico incontrate dalla MT durante il moto sul piano trasversale XY. Il tempo T2* è sempre più breve del tempo T2.

È possibile ottenere una dipendenza del segnale solo dal parametro T2 o solo dal parametro T2* utilizzando particolari sequenze di impulsi RF di eccitazione:

sequenze spin-echo (SE), dipendenti solo da T2: si invia un impulso RF a 180° quando la MT è già in fase di sfasamento; in queste condizioni l’impulso causa un’inversione del verso di rotazione della MT che affronta in questo modo le disomogeneità del campo che incontra lungo la sua rotazione in senso inverso, compensando così lo squilibrio che si era creato in precedenza proprio a causa di queste disomogeneità.

sequenze gradient-echo (GE), dipendenti solo da T2*: utilizzate se si vuole rivelare all’interno del tessuto in esame sostanze che aumentino le disomogeneità del campo (calcio, emosiderina, …).

Al fine di ottenere il risultato finale occorre un ulteriore passo e cioè quello della localizzazione: per ottenere un’immagine dell’organo sotto indagine è infatti indispensabile localizzarlo spazialmente. A questo scopo i gradienti di campo, ovvero dei campi magnetici variabili nello spazio e nel tempo, vengono sovrapposti al campo magnetico statico; essi hanno proprio la funzione di dare una collocazione spaziale alle sorgenti dei vari segnali ricevuti dal sistema. Dall’equazione di Larmor sappiamo che ad ogni intensità di campo magnetico corrisponde una frequenza di precessione protonica quindi, variando di quantità note il campo magnetico su volumi specifici, è possibile selezionare le regioni dalle quali proviene il segnale basandosi sulla frequenza di quest’ultimo. I gradienti di campo vengono applicati durante il periodo in cui viene inviato l’impulso di RF e permettono di selezionare una particolare fetta (slice) nel volume sotto indagine. Esiste un gradiente di campo per ognuno dei tre assi X, Y, Z tanto da rendere possibile la selezione di sezioni assiali, sagittali e coronali o secondo qualsiasi altro piano dello spazio combinandoli fra loro.

Grazie all’applicazione di questi gradienti è possibile selezionare lo strato da esaminare e fornire quindi le coordinate spaziali necessarie alla ricostruzione dell’immagine.